Canaro in Italia 1926
Francisco Canaro, vero nome Francisco Canarozzo, è stato un compositore, violinista e direttore d’orchestra di tango argentino.
Nacque il 26 novembre del 1888 a San José de Mayo, paese nella parte orientale dell’Uruguay.
Una malattia rara, la malattia di Paget, lo portò alla morte il 14 dicembre 1964.
di Massimo De Marco (Tangocaffè)
Francisco Canaro nell’agosto del 1926 si trovava in Francia con la sua orchestra. Alla fine del mese scadevano anche tutti i suoi contratti e così pensò di venire in Italia con la moglie per incontrare sua nonna e per vedere finalmente il paese dei suoi genitori. Un piccolo paese sul Po, in provincia di Rovigo, che, combinazione, si chiama Canaro e che a quell’epoca aveva 564 abitanti, specializzati nella coltivazione delle barbabietole. Don Francisco Canaro pensò che, una volta sul posto, sarebbe stato complicato ricordare il suo cognome. Pensò: ” Tutti diranno che sono il padrone del paese, devo convincerli che il mio cognome non c’entra, è un puro caso”.
A Parigi acquistò presso l’agenzia Supervielle un viaggio (in treno) organizzato che durava 90 giorni e che gli permetteva di staccarsi dal gruppo per procedere da solo ovunque volesse.
Prima tappa a Torino. La città gli piace così così. Ne apprezza l’austerità architettonica ma la giudica poco fantasiosa. E’ impressionato dalla laboriosità dei torinesi e dall’imponenza della Fiat che a quell’epoca aveva 30 mila dipendenti.
Genova, seconda tappa, lo conquista. Dice che è una città pittoresca, allegra e simpatica. Lo seducono i carrugi della città vecchia con il cielo zeppo di lunghe corde alle quali sono appesi a seccare frutta e ortaggi. E’ colpito dalle opere d’arte schierate nel Cimitero di Stallieno e al ristorante la pasta al pesto e la zuppa di pesce lo affascinano.
Il viaggio di Francisco Canaro prosegue per Roma. Ha poi ricordato:” Ho cominciato a girarla con una curiosità inquieta, forse a causa della sua grandezza storica. Roma mi ha messo soggezione, mi ha emozionato tanto”. Si era procurato un “cicerone” per non perdere tempo, visto che non avrebbe potuto fermarsi più di una settimana. Ed anche per poter arrivare alla presenza del Papa Pio XI, cosa che avvenne. Canaro ha raccontato: ” Ero così emozionato che tremavo e non riuscivo a fermarmi. Mi sono poi accorto di tremare anche quando ho visto in una cappella un Cristo di Michelangelo con una ferita prodotta dai baci di milioni di visitatori e quando ho visto l’impronta dei piedi di San Pietro in un pezzo di lava vulcanica”. Da Roma a Napoli. “Credevo che niente potesse attenuare in me le emozioni di Roma. Invece Napoli mi ha stregato con il suo Vesuvio fumante, la gente così vera e simpatica, il clima soave, la tarantella travolgente”. Erano i giorni della Festa di Piedigrotta, definiti da Canaro “assolutamente incantevoli”.
Un salto a Capri ed alla Grotta Azzurra e poi, il 19 settembre, di corsa a Napoli per la Festa di San Gennaro. “Qualcosa che non si può dimenticare”.
E’ arrivato il momento di incontrare la nonna, la meta è un villaggio del Salernitano. Il treno si ferma a Vallo e per raggiungere Catello Vallo non c’è che la “Posta”, una polverosa diligenza che trasporta lettere e passeggeri.
A Catello Vallo inizia la ricerca di qualcosa per continuare il viaggio. Sono fortunati perchè trovano un calesse. E’ veramente piccolo, due persone ci stanno con fatica ed una delle due non è perfettamente seduta, ma piuttosto che proseguire a piedi la soluzione appare splendida. Finalmente i Canaro arrivano a Ceraso, mille anime. Due sono di famiglia: della nonna di 88 anni e della sorellina di 86. Dopo un giorno di ricordi la nonna dice che vorrebbe andare a Buenos Aires a trovare la mamma di Don Francisco. Insiste molto. ” Sai che sorpresone sarebbe per lei ? “. Ma al momento la cosa non si può fare. Avverrà più tardi e dopo la morte della sorellina. La nonna arriverà a Buenos Aires con un tipo del paese che sa un po’ di spagnolo. Tutte le spese saranno a carico di Don Francisco.
A questo punto inizia il viaggio di ritorno. I Canaro giungono a Firenze, guardano tutto e poi proseguono per Pisa. La Torre Inclinada incuriosisce Don Francisco, sale e scende tre volte “con l’impressione di vedere qualcosa di magico“. Un’altra magìa la scopre in un cappella con un’acustica molto particolare. Canaro canta “Do-Mi-Sol-Do” e dopo alcuni secondi si ascolta un’eco stranissima, è come se ogni nota venisse ripetuta da quattro voci. Gli dicono che sovente la cappella è stata visitata da Caruso che si divertiva a cantare qualcosa per riascoltarsi. Don Francisco lo aveva conosciuto a Buenos Aires. “Se avesse cantato il tango sarebbe diventato la voce della città...”.
Un giorno a Montecatini, un giorno a Bologna e poi il treno per Venezia. Cerca di vedere più cose possibili ed ognuna, a partire dalle gondole, lo impressiona. Don Francisco ha la sensazione di essere penetrato in una cartolina illustrata.
La successiva tappa a Milano lo restituisce alla realtà. La chiama “Piccola Parigi” e visita la città in lungo e in largo, prima il centro, poi la città vecchia dove scopre un ristorantino che lo attrae.
Entra, si siede ad un tavolo ed al giovane cameriere ordina ridendo: – Camariere, como me trovo a Milano voglio mangiare una bella milanesa autentica…
Dopo un po’ di minuti il cameriere torna al tavolo con le cotolette sul piatto. – Maestro Canaro, ecco la milanesa!
Don Francisco è stupito. Mentre cerca di capire come sia stato riconosciuto la figlia del proprietario, una ragazza che assomiglia a Gina Lollobrigida, gli allunga foglio e matita per avere l’autografo. Poi viene a galla un piccolo retroscena.
Il cameriere aveva lavorato a Parigi in un locale dove Francisco Canaro era una celebrità.
Lo invita al tavolo ma il ragazzo non può. Si limita a rimanere li accanto in piedi per qualche minuto. Gli dice:- Maestro, la sua musica è bellissima, è commovente. Don Francisco si alza dalla sedia, lo abbraccia.
La gente seduta ai tavoli guarda quella scena con sorpresa. Qualcuno dice:- Dev’essere suo papà.