OSVALDO PUGLIESE
nasce a Buenos Aires, nel barrio di Villa Crespo, il 2 dicembre 1905; suo padre, Adolfo, operaio in un calzaturificio, è stato flautista dilettante nei quartetti del suo quartiere che eseguivano tango.
Fu il padre che impartì le prime lezioni di solfeggio.
Dopo essersi formato nei conservatori del posto, a 15 anni iniziò la sua carriera professionista nel locale Café de La Chancha, così chiamato dagli avventori alludendo alla scarsa igiene del proprietario. La continuità nel lavoro gli permise di affinare il suo concetto, appoggiato dall’apporto dei suoi compagni come il contrabassista Aniceto Rossi, tanto importante nel dargli l’approccio ritmico di cui necessitava.
Fondamentale fu il bandoneón di Osvaldo Ruggiero, che rimase con Osvaldo fino al 1968, profondamente legato al suo direttore. Ed altrettanto può dirsi del violinista Enrique Camerano, nato – dice qualcuno – per suonare con Osvaldo.
Negli anni ‘40, registrò alcuni temi strumentali propri con i quali si collocò all’avanguardia.
E’ il caso di La Yumba (che si trasformò nell’inno della sua orchestra), Negracha e Malandraca. Per questi ultimi due lo si considera un precursore nell’impiego della sincope e del contrappunto. Altri importanti tangos che Osvaldo scrisse ed interpretò sono, prima di tutto, il menzionato Recuerdo, e La Beba, Adiós Bardi, Recién, Barro, Una Veze e El Encopao.
Per anni, all’ orchestra di Osvaldo è stata impedita la radiodiffusione, come mezzo di censura politica, ma ciò non riuscì a diminuirne la popolarità né le esecuzioni, che continuavano ad essere possibili se privi del direttore, dopo che Juan Domingo Perón lo fece imprigionare.
Innumerevoli i riconoscimenti da lui ricevuti a Cuba, in Francia e nella sua Argentina fino alla sua morte, giunta a Buenos Aires il 25 luglio del 1995.

Biografia liberamente tradotta da Todotango e da Wikipedia.

Donna e Tango
Il coraggio di esporsi, il coraggio di essere

(Z. Fusco, dalla rivista El tanguero n 15 anno 2014)

 

Nel tango la donna compie un percorso che la vede trasformarsi.

Non impara semplicemente dei passi, ma conosce se stessa, ed il lavoro sul corpo può diventare un percorso di consapevolezza.

Incomincia dall’ affrontare la sua timidezza. Non a caso prima di tutto si confronta con l’imbarazzo di quella intimità che l’abbraccio del tango produce almeno all’inizio.

Certo, non è semplice per una persona comune condividere lo spazio ristretto che l’abbraccio delimita, mettendola a nudo, perché inconsciamente le fa fare i conti con la sua capacità di relazionarsi con l’altro, ma anche con se stessa e il suo corpo… è difficile concedersi di chiudere gli occhi per farsi guidare in pista dall’ uomo, che ha il compito di scegliere la direzione e i passi da eseguire.

Eppure attraverso il tango lei può recuperare fiducia nel suo sentire, apprezzare il piacere dell’accudimento ( mi piace molto questa parola!!) da parte del maschile ed esprimere tutta la sensibilità che la contraddistingue.

La donna non è passiva, come molti pensano, convinti che questa sia una danza macha o maschilista.

Lei rappresenta il gioiello che rende bella la coppia, mentre l’uomo lavora per mostrarla e ne guadagna in cambio soddisfazione e nutrimento. Nell’ eseguire la loro danza, i due ballerini contribuiscono in egual misura, nel valore dei ruoli diversi che interpretano.

Il tango evidenzia il valore della diversità. Ma ad un tratto avviene un passaggio…

Tutto comincia nel momento in cui si capisce che lei nel tango è come la luna.

Rende d’argento quel filo sottile che si chiama connessione, trasforma in magia quella energia che raccoglie dall’uomo, facendolo diventare un silenzioso re. Perché se l’uomo mentre danza ha la responsabilità di accompagnare e di proteggere; la donna ha il ruolo di sentire e di tramutare con delicatezza quell’input in Bellezza, fidandosi del proprio partner, onorando la sua energia e interpretando il suo messaggio, affinché appaia piacevole anche agli occhi di chi guarda.

La tanguera lo comprende sin dalla sua prima esperienza in milonga, quando con ardire decide di esporsi, accettando di sedersi ad un tavolo nell’attesa di un invito.

Quello giusto, sognerebbe lei… ma il tango, come la vita, è fatto di mille sfumature e vissuti, di incontri disastrosi o incantevoli.

La tanguera in altri termini è una creatura coraggiosa.

Accetta infatti le sue vulnerabilità e le trasforma in risorse, sedendosi su quella sedia e accettando con stile che durante una serata potrà essere invitata o meno, potrà ballare o no.

Impara ad apprezzare lo stare, ascoltando la musica e conversando, interpretando la dimensione sociale del tango e soprattutto lavorando su di sé per comprendere che l’eventualità di mancati inviti non è fatto personale, ma la risultante di una complessità di fattori, non ultimo la fragilità di un maschile che spesso nasconde infinite sfaccettature. E nel momento del ballo? La donna è signora quando impara l’arte più fine. L’ascolto.

Nel tango ascoltare significa prestare orecchio alla musica e al suo reale messaggio, poiché non tutto si balla nello stesso modo.

Significa sentire realmente il partner, accogliendo la sua personalità e lavorando per creare un incontro piacevole che si tramuti in intesa.

Significa soprattutto portare attenzione a sé, non in modo egoistico, ma per sapersi gestire, far sì che l’equilibrio del proprio corpo parta prima da un conoscersi profondamente, da un rispettare i propri bisogni, dall’onorare i propri limiti oltre che le proprie ricchezze.

Essere se stesse senza frenesie o ansie.

Comprendere che la propria Bellezza risiede nelle signorilità dei propri comportamenti e nell’eleganza dei piedi.

Far sentire l’altro a proprio agio, ma anche saper dire con garbo ‘no’.

La signora del tango non scende a compromessi, cerca un punto d’incontro.

Non si mostra esageratamente.

Assapora le atmosfere, ne ricava piacere per l’anima, offre la sua qualità.